La Garfagnana EPIC 2020 nel racconto di Stefano Elmi
DAY 1
GALLICANO (Lucca) – Grottorotondo mon amour. Per quelli come me che l’anno scorso lo avevano volutamente schivato nel finale perché privi di ogni tipo d’energia per far girare le gambe, quest’anno è inevitabile. Pronti via e siamo già lassù. Beh insomma occorre un pò di tempo ma nella mattinata, chi prima chi dopo, arriviamo sull’ormai famigerato crinale immortalato dai temerari lo scorso anno nella luce del tramonto.
Superato l’Eremo di Calomini, giungiamo al paese di Calomini dove ci aspetta a confortarci un primo ristoro organizzato dal comitato paesano, poi a seguire tocchiamo Brucciano mentre i tratti di portage si prolungano mano mano che si sale. Rimango a contemplare il panorama con un signore di Sanremo che per la prima volta partecipa alla Garfagnana Epic. In faccia abbiamo le pareti della Pania Secca. Poco sotto il paese di Vergemoli che se ne sta allungato fra i boschi di castagni. Mentre il crinale brullo del Grottorotondo si snoda come un serpente, costellato di rocce. Sul suo culmine le trincee della Linea Gotica.
Questa era la linea di confine nell’inverno fra il 1944 e 1945. A pochi chilometri da qui, in località Piglionico, la cappella che ricorda i caduti partigiani del Gruppo Valanga guidati da Leandro Puccetti. All’Alpe di Sant’Antonio, dove ha vissuto per molti anni ed ora vi è sepolto Fosco Maraini, inizia la discesa verso Castelnuovo di Garfagnana.
Al paese di Eglio riempio la borraccia e trovo un signore in panne con la sua e-bike. Già perché quest’anno alla partenza ne ho viste parecchie e già mi domandavo come avrebbero fatto per i tratti a piedi. Preso atto che esiste anche un tasto che ti aiuta a spingere la bicicletta, mi chiedevo, visto il loro notevole peso come si potevano affrontare i portage più epici. A seguito di un mio breve sondaggio fra i pedalatori elettrici, ‘le braccia’ è risultata essere la risposta all’unisono.
Tornando al signore in cerca di conforto, o più semplicemente di una batteria funzionante, scopro con mio grande stupore che la sua potentissima Specialized Levo Turbo in carbonio nera lucida non solo ha il cambio elettronico, ma possiede anche un reggisella telescopico anch’esso elettronico. Niente più fili, solo batterie.
“Scusa ma i pedali come funzionano” chiedo sornione da finto ingenuo “No ma io pedalo, io sono da muscolare, ma sai queste sono quelle voglie che uno ogni tanto si leva”
La novità di questo anno è la Epic Day, un percorso epico di un solo giorno. Gli iscritti totali sono il record di sempre in queste sei edizioni: 340 persone di cui 260 per la due giorni e 80 per il giorno singolo.
Dopo il maltempo delle settimane scorse che già ci aveva fatto dire: l’estate è finita, il caldo è tornato prepotente ed ogni assenza di nuvole ha come amplificato il cielo azzurro sopra di noi. Mi ritrovo a pedalare da solo nel silenzio delle ore del dopo pranzo. Attraverso i paesi di Antisciana, Gragnanella, Sillicano, Roccalberti, Vitoio, in sottofondo lo sgorgare dell’acqua dalle fontane, ce n’è una in ogni paese, i fiori multicolori alle finestre. Mi fermo e mi guardo attorno. Sono anni che non attraversavo questa zona e mi ritrovo a pensare al senso della Garfagnana Epic.
Nei pressi del Poggio, lungo una discesa fluida con fondo terroso molto liscio e molto divertente mi fermo a condividere questa felicità con due ragazzi. Basta poco, e così conosco Stefano e Keoma.
“Io mi chiamo Stefano” dico “ Piacere, anche io mi chiamo Stefano e sono di Montecatini” fa lui “Ciao, io sono Keoma” fa l’altro, che subito prosegue vista la mia faccia “sono di Altopascio non ti preoccupare hai capito bene, Keoma è il mio nome”
Mi spiega che ai suoi genitori piaceva molto un film di Franco Nero degli anni ’70, dove l’attore interpretava Keoma appunto. Un mezzosangue tornato al paese natio dopo la guerra di secessione trova un despota forte coi deboli e debole coi forti che detta legge, dopo varie vicissitudini Keoma medita la vendetta.
Stefano e Keoma fanno parte dell’EMP Cycling Team di Montecatini Terme. Al ristoro di Poggio facciamo un’intervista in diretta con Radio Music Lab, si fanno passare come cuccioli smarriti dagli altri atleti, apparentemente di punta, del loro club che sono avanti anni luce sul percorso. La goliardia, che sia un altro senso da dare alla Garfagnana Epic?
“Actually it was a stone…” in un boschetto ben curato solcato da un ruscello fra Poggio e Roccalberti d’improvviso pare di essere catapultati nella campagna inglese. Due turisti, bastone di legno in una mano lui e grande cappello per il sole lei. Sono a passeggio col ritmo della vacanza nelle gambe con due banane infilate al lato dello zaino, offerte gentilmente dal ristoro epico del Poggio.
“Cobra uno a Cobra due” sento una radio gracchiare nel bosco. Sono al fianco di Luca, del gruppo Jurassic Bike. Luca l’ho conosciuto la sera prima, assieme a Vincenzo. Luca ha una protesi ad una gamba e non ha digerito la partenza diretta della mattina sul Grottorotondo. I crampi sono fortissimi ed a Roccalberti è costretto a chiamare la jeep dell’assistenza per arrivare al Monte Argegna. Era proprio dispiaciuto, ci teneva a concludere il primo giorno, ma i suoi compagni lo hanno incoraggiato fino all’ultimo. Il giorno dopo ripartirà alla grande per concludere il giro.
Nella calura di inizio settembre arrivo a Vitoio. C’è una rampa assassina di cemento fatta apposta per troncarti le gambe. In cima uno striscione: Vitoio saluta la Epic. Da una casa si affaccia un signore “Ecco la stampa” fa leggendo la tabella sul manubrio, qualcuno da dietro una tavola imbandita “sì…silenzio stampa!”. Verità, la salita togli-fiato mi impedisce ogni risposta. Poco avanti nei pressi della chiesa una signora “Che sei l’ultimo te?” “Non saprei, non credo” rispondo dissimulando la fatica “No va bene dai non sei l’ultimo” replica lei accondiscendente.
Il Sentiero del Fungo fra Casatico e Roggio è una salita graduale che fa lavorare le gambe in maniera continua. Salgo assieme a Keoma che dopo qualche chilometro mi passa, me e altri, con un rapporto esagerato e i polpacci che spingono come due pistoni. E’ la vendetta di Keoma.
Un’altra novità di quest’anno sono le chicken-line, le scappatoie per aggirare le discese più tecniche. Io da una certa ora del pomeriggio mi sento un po’ chicken per cui aggiro Campocatino e cerco una birra ristoratrice a Gorfigliano, il secondo ristoro di giornata. Qui trovo Luca Coppi, amico dal cognome ciclisticamente importante (lui ha sempre negato ogni parentela) e compagno di scorribande adolescenziali in bicicletta. E’ tutto sporco di terra sul lato sinistro, è caduto ma non si è fatto niente.
La differenza maggiore con l’edizione dello scorso anno di giugno sta nel sole. Dopo Gorfigliano le ombre si allungano e nel bosco il buio in certi tratti è sempre più intenso. C’è vento e non vedo l’ora di arrivare anche perché il mio sellino sta diventando davvero scomodo.
Arrivo quasi al tramonto al Santuario del Monte Argegna, quindi in anticipo rispetto allo scorso anno che era giugno per l’appunto. Insomma forse sono arrivato uguale, chissà.
DAY 2
Dopo tre anni ho rimontato la mia tenda monoposto. Era dal viaggio che ha cambiato tutte le mie prospettive fra Canada ed Alaska che non la utilizzavo, con mio grande stupore non solo è rimasta piccola, ma mi pare ulteriore rimpicciolita, o forse ho solo perso l’abitudine. Come ho fatto a passare quasi tre mesi in quella cosa mi domando. Non ho risposta.
Alla sera tutti si congratulano col mio vicino di tenda. Non vedo nessuna bicicletta, ma capisco dopo, o meglio capisco alla mattina quando lo vedo vestito con scarpette da corsa, un micro zaino sulle spalle ed un cappellino. Si chiama Fabrizio Ridolfi e sta facendo la Epic di corsa. Dato il via sparisce avanti, lo rivedrò solo alla sera all’arrivo a Gallicano.
“Daniele oggi si picchia duro!” è l’urlo di battaglia per tutta la mattina di Guido Lombardi in sella alla sua Poderosa. Il secondo giorno è caratterizzato dalla discesa, almeno stando alla traccia gps, ma ciò non vuol dire che sia facile, anzi tutt’altro. Tutti l’aspettano in gran gloria, qualcuno si azzarda anche a dire: dai che dopo il passo del Gatto è tutta discesa fino all’arrivo, oppure basta andare giù d’inerzia. Macché inerzia. “Daniele oggi si picchia duro!” continua Guido, ma la discesa non arriva mai. Mi godo il panorama.
I crinali e le faggete del secondo giorno sono fantastici. Il passo del gatto sempre una certezza. Al rifugio del Monte Tondo il gestore canticchia Punk Islam al figlioletto per addormentarlo “vanno abituati sin da piccoli” mi dice
“Ci fate sembrare dei miti” urla qualcuno al passaggio davanti all’obiettivo di Marco Venturi al Passo della Comunella “Miti non so, ma epici di sicuro” la replica del fotografo. Marco Venturi è uno di fotografi del Circolo Fotocine Garfagnana che assieme a: Pietro Guidugli, Stefania Adami, Maria Magagnini, Luca Salotti, Patrizio Pocai, Valeria Coli, Riccardo Cagnoni, Alessandro Cavani, Amerigo Paita, Marco Savoli, Feliciano Ravera, fermano questa giornata tramite le loro immagini e la rendono a loro modo epica, se non altro per i ricordi.
Nella seconda giornata parlo parecchio e di cose interessanti con Filippo Cheloni, detto Gallo. Sta preparando una tesi di laurea che riguarda il turismo in Garfagnana. Parliamo delle differenze fra Alpi Apuane ed Appennino, di come qui tutto è cambiato in sessant’anni, e di come sopratutto la nostra generazione sia nel bel mezzo di un guado: ovvero far capire che la natura da queste parti è una risorsa su cui investire per fare turismo ed offrire esperienze.
Epic da sei anni ci si è messa di mezzo, e Daniele Saisi assieme al suo gruppo selvaggio: Claudio Santi, Mirco Toni, Federico Cardosi, Marco Raffaelli, Fabrizio Fabbrini, Gabriele Dini e Mario Orlando hanno pensato proprio questo: offrire ai suoi partecipanti non solo uno spaccato di quello che sono queste terre ma proprio un’esperienza unica. Come a dire: sai che cos’è Garfagnana? Se vuoi in due giorni te la faccio vivere.
La montagna quest’anno visto il periodo che stiamo vivendo va di gran moda. Al passo di Lama Lite sotto il massiccio del Prado c’è cosi tanta gente sulla strada a camminare che bisogna continuamente chiedere permesso. Il crinale fra passo del Giovarello al passo delle Radici è sverzato dal vento, mentre il sole si sta abbassando all’orizzonte. C’è aria di cambio di stagione quassù.
“A Capraia una volta abitavano centinaia e centinaia di persone. Ora ci contiamo sulle dita di una mano” mi dice la signora della Pro-Loco al ristoro delle Lame di Capraia. Avevo il ricordo di un’insegna del posto telefonico pubblico, di quelle col telefono giallo come non se ne vedono più in giro. “Sì c’è ancora” continua la signora “ma il telefono ovviamente no. Arrivò quando ero bambina, quando portarono anche la linea della corrente elettrica”
Le Lame erano l’alpeggio di Capraia. Il rifugio molto ben tenuto è gestito dalla Pro-loco che ogni anno (ad eccezione di questo per ovvi motivi) vi tiene la festa dei Pastori. Una due giorni come una volta per tener vivo quello che è stato e quello che eravamo da queste parti.
Ricordi di una civiltà contadina che è svanita, o meglio qualcosa è rimasto, ma se non sono vecchi, in molti casi, anche se non sempre sono giovani di altre nazionalità.
Sul percorso incontriamo un gregge di pecore al pascolo e un branco numeroso di asini in un recinto. I pastori sono africani. Poi cataste di legna e trattori enormi in mezzo ai boschi di faggio. I boscaioli sono macedoni.
All’improvviso un grido getta in allarme il ristoro “Chiude il cancello! Chiude il cancello! Per favore signora un panino al volo” Un cancello è l’ingresso ad una parte di percorso che viene chiusa, per motivi logistici o di sicurezza, se ad una data ora non vi si è ancora giunti.
Io, assieme ad altri non cambiamo espressione e continuiamo a mangiare imperterriti il nostro panino con salsiccia, buonissimo per altro. C’è silenzio, tutti sono assorti nei loro pensieri, o forse è semplicemente stanchezza, ma nessuno pensa al cancello che chiude.
Faccio più chicken-line possibili nella picchiata giù dal ristoro delle Lame. Una casa di pietra con un tetto di lastre di ardesia in mezzo alla faggeta attira la mia attenzione. Mi fermo è ben curata cosi come il terreno intorno. Sembra quasi un opera d’arte. Affronto Sassatecchia, la temibile discesa finale del Sillico che sono due giorni che tutti ne parlano con timore e reverenza, cercando di non farmi troppo male. Arrivo in fondo, superato un ponticello a fianco di un vecchio mulino si risale. Gallicano è all’orizzonte.
Piccoli gruppi arrivano carichi di gioia ed energia sotto lo striscione di arrivo degli impianti sportivi. Non c’è nessuno che nonostante la gran fatica e la stanchezza non sia sorridente. Tutti si stringono sotto il cartellone coi nomi dei partecipanti per un ultima foto insieme.
Il senso della Garfagnana Epic lo si percepisce proprio alla sua conclusione. Non la rifarò mai più pensavi solo all’ultimo chilometro, poi quando passi sotto l’arco d’arrivo finale e senti il fondo liscio e confortante degli impianti sportivi sotto le tue ruote qualcosa cambia. Ti senti parte di una cosa che non sai dargli un nome preciso ma che non vedi l’ora di rifare.
Il gruppo scopa capitanato da Daniele Saisi arriva alle 20,30 con la luce delle frontali. La Garfagnana Epic 2020 è archiviata.
Stefano Elmi